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il bacino di decantazione

~ … contro lo strepitìo della vita moderna.

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Il sonno della democrazia ri-genera i mostri

26 sabato Mag 2012

Posted by ilbacinodidecantazione in Attualità, Media e informazione, Politica

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berlusconi, cittadinanza, democrazia, dibattito politico, informazione, opinione pubblica, P2, presidenza della repubblica, presidenzialismo, riforma istituzionale, riforma presidenziale

Variazione su El sueño de la razón produce monstruos, di F. Goya, 1797 

Anziché chiedersi se ci siano il tempo e le condizioni per discutere con un pazzo criminale di riforma istituzionale in senso presidenzialistico, i nostri politici (specie i capi dello schieramento…opposto?!) e i nostri giornalisti farebbero meglio a chiedersi se sia il caso di dare tanta importanza:

– ai miasmi terroristici (questi sì) e più o meno velatamente golpisti che esalano da quella fetida carogna che ci ha portato – a suon di barzellette, sorrisi e ristoranti pieni – sull’orlo del baratro;

– a colui che rende giustificabile (quasi) ogni provvedimento del governo tecnico, visto che quest’ultimo è stato messo in piedi all’ultimo momento utile per porre un argine al malgoverno suo, dei suoi nani e delle sue ballerine;

– al demiurgo del partito che tende a vantare il maggior numero di assenti alle Camere quando si tratta di discutere e votare provvedimenti contro corruzione, evasione fiscale e altri mali endemici del Bel Paese e – tanto per citare l’ultimo episodio – a favore del dimezzamento del finanziamento pubblico ai partiti;

– ad un vile che non si è praticamente mai prestato ad un vero confronto con chicchessia (antagonista politico, intervistatore etc.), ma si beava soltanto di diffondere i suoi videomessaggi, di inondare le buche delle lettere del suo personale, mitopoietico fotoromanzo e di intrattenere il suo pubblico di compiacenti cortigiani ai congressi;

– alla tessera numero 1816 della loggia P2. E tanto basterebbe per ignorarlo, se non per assicurarlo alle patrie galere. E basterebbe replicare ad ogni sua sillaba «tessera numero 1816» per ricacciarlo nelle fogne da dove è venuto;

– ad un monomaniaco che da anni va blaterando di toghe rosse e di dittatura dei giudici di sinistra e che, se diventasse Presidente di quella Repubblica Presidenziale che auspica, si ritroverebbe a capo del Consiglio Superiore della Magistratura e sceglierebbe un terzo dei componenti della Corte Costituzionale (senza contare le altre prerogative che stuprerebbe occupando abusivamente quella carica, riportate nel Titolo II della Parte II della Costituzione). Certo, lui non si candiderebbe nemmeno, povera stella, a meno che qualche cortigiano (magari reso audace da un mutuo saldato anzitempo) non glielo chieda…e a coronare la scenetta strappalacrime ci si mette anche il cercato e finto (come tutto ciò che lo caratterizza e circonda) lapsus del suo delfino tonnato. Ma ricordiamo che sono stati altri i lapsus, questi sì, freudiani, che, in passato, ci hanno rivelato la pasta di questi personaggi;

– ad un padre-padrone indulgente e pronto a scusare le peggiori colpe del suo figlio-popolino perché le condivide, amplificate. E il figlio-popolino è già in gran parte pronto a rigettarsi tra le sue braccia, stanco della medicina amara che il dottor Monti si sforza di fargli ingoiare e che non dovrebbe assumere se il padre non l’avesse fatto ammalare incoraggiando i suoi vizi;

– ad un egotista rattristato dalla comparsa sulla scena di un Primo Ministro che, pur assai contestabile sotto altri aspetti, merita i complimenti per come si presta al confronto, per  l’energia che mette nello spiegare i suoi provvedimenti in vari contesti e non solo in quelli amici. E non è un caso forse che il narciso appassito di Arcore sia tornato a vomitare stronzate proprio dopo alcune prove in cui Monti ha coniugato una statura da statista ad una riuscita abilità nell’apparire in video, due campi dove il nostro si credeva er mejo. E non è un caso forse che voglia riprendersi la scena quando questa si sta affollando di nuovi (?!) capipopolo e discese in campo.

Se proprio non lo si può rendere inoffensivo (come lo sarebbe un qualsiasi privato cittadino che si fosse macchiato di un quarto delle sue malefatte), almeno che lo si ignori. E se era forte il sospetto che fosse effimera la gioia che davano immagini come il suo comizio alle sedie vuote e la sua eradicazione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ora se ne ha la tetra conferma.

E l’affannosa ricerca di una cieca coesione nazionale, che passa anche attraverso l’agitare lo spettro dell’incombente minaccia del terrorismo (il pericolo c’è e non va sottovalutato, ma qui pare si scherzi col fuoco e l’argomento è di quelli spinosi…), non può giustificare la risonanza concessa alle dichiarazioni di personaggi che in passato si sono rivelati autentici avvelenatori dei pozzi della democrazia e che, per giunta, escono trombati (una volta tanto senza contorno di soldi pubblici, statue di Priapo e tribunali) dalle elezioni regionali, espressione della tanto evocata società civile.

L’italiano diventerà mai cittadino e, quindi, animale politico a tutti gli effetti? Svilupperà mai gli anticorpi per i mali che martoriano la nostra democrazia? E riuscirà a svilupparli, se politici, giornalisti, opinionisti e quanti altri continueranno a dare tanta importanza alle uscite di simili soggetti, ricacciandoci sempre nel baratro del «Vota chi ti assicura panem et circenses e poi lascia fare a me»? Ghe pensi mi, appunto.

Scusate lo sfogo.

Vox clamantis in deserto
(il Bacino di Decantazione)

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L’Italia sul viale del traMonti: alcune cose che non mi sono piaciute dell’intervista a Mario Monti di Che tempo che fa

10 martedì Gen 2012

Posted by ilbacinodidecantazione in Attualità, Media e informazione, Politica

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8/1/2012, angloamericanismo, capitalismo, Che tempo che fa, domenica sera, economia, etica calvinista, Fabio Fazio, finanza, intervista a Monti, Mario Monti, Mario Monti da Fabio Fazio, politica, profitto, ricchezza, valore

Che tempo che fa, insieme a programmi come Le storie, diario italiano o al Punto alle 20.00 di Rai News, è rimasta una delle poche occasioni per assistere nella televisione in chiaro a discorsi di un certo interesse e serietà, talvolta anche molto densi e profondi, su una varietà di temi diversi, con ospiti che si rivolgano anche a un pubblico di età intellettuale superiore ai 12 anni e con una considerazione di sé non così infima da lasciarsi deteriorare di fronte alle forme più squallide, volgari e fruste di intrattenimento a cui vorrebbero farci abituare (ivi compresi alcuni TG incentrati sulla cronaca in tutti i suoi colori e la compagine dei dibattiti da prima serata abbassatisi sempre di più al livello di una fantapolitica onanistica e sterile, dell’eterna partitella fra rossi e neri, del salotto pettegolante di qualche madama intrallazzona – ogni riferimento a fatti e persone esistenti è assolutamente intenzionale). Non sarà quindi un caso che il nuovo capo del governo, reduce dalla tappa obbligata di Porta a porta, abbia accettato di partecipare in veste di ospite al programma di Fabio Fazio (puntata del 8/1/12), appuntamento annunciato non senza un’orgogliosa, seppur legittima, insistenza e atteso un po’ da tutti per conoscere più da vicino, o per illudersi di farlo, questo nuovo comandante della “nave-Italia” (come la chiama lui stesso). Soprattutto, per intuire qualcosa in più di ciò che ci aspetterà nell’immediato futuro; per carpire opinioni, posizione e ricette di questo professore verso cui non sappiamo ancora bene se provare simpatia e gratitudine; per leggergli in viso e fra le righe i timori, l’ansia, le speranze, gli spiragli, l’onestà o le nuove menzogne. Per avere delle impressioni di prima mano con le quali costruirsi un pugno di idee che orientino il nostro pensiero nei prossimi mesi. Per lasciarci persuadere o deludere; magari per rafforzarci nella nostra diffidenza.

Eppure, a scapito delle attese, la strombazzata ospitata di Mario Monti da Fabio Fazio mi è sembrata risolversi nell’ennesimo nebuloso e sibillino fiume di parole da cui si può dedurre tutto e niente, a seconda di che cosa faccia meglio all’anima per tirare avanti. Un po’ sarà anche colpa del conduttore, a cui vanno riconosciuti il pregio di formule televisive sempre azzeccate e il merito di lasciare ampio a spazio a personalità del mondo della cultura che difficilmente troverebbero altre opportunità di parlare in televisione a un pubblico così vasto.  Come intervistatore, però, Fazio non pare sempre all’altezza dell’occasione: spesso le domande mancano di sale quanto abbondano di una patina di dolciastro buonismo; i timidi tentativi di provocazione si pentono e fanno marcia indietro nella loro stessa articolazione, abortiti solitamente in una sorridente frasetta di autocommiserazione; le domande più pungenti e i momenti di sano disaccordo sono metodicamente stemperati in freddure da prete pronte per l’uso, innescate dal collaudato marchingegno di decongestionamento faziano, con l’unico risultato di disperdere la concentrazione del pubblico e di far perdere di intensità il discorso.  Così mi è parso sia andata anche l’attesissima intervista di domenica. Deboli i tentativi del conduttore di sollevare obiezioni, anche quando opportune, se non doverose (sulla compassione di Monti, tanto per citare un esempio, per una classe politica eccessivamente “mal trattata” – ! – dall’opinione pubblica). Fin troppo innocuo, Fazio stuzzica la superiorità anglosassone del buon nonno-Monti, che non manca di dargli lezioni di umorismo inglese in quello che sembra un tentativo di indagare le abilità logiche e la resistenza nervosa del mansueto intervistatore, a cui vengono posti sterili e fastidiosi trabocchetti come contrattacco ad alcune sue domande (uno su tutti, quello su Christine Lagarde che giudica improbabile il fallimento dell’euro nel 2012, con giustificazione velatamente autobiografica di Monti che difende l’ambiguo aggettivo, di discrezione e sobrietà anglosassone, tanto per sottolineare qual è ormai il modello sociale ed economico a cui inchinarci, al posto di affermazioni più nette, in bene o in male). Inefficace anche il tentativo di affondo sul tema RAI (nonostante gli spunti emersi anche la sera precedente durante l’intervista a Michele Santoro), a cui fa eco una risposta evasiva nella sua decisione, da cui non traspare non solo un progetto chiaro (e questo è legittimo, dato che la questione va discussa e le urgenze, fino a questo momento, sono state altre), ma nemmeno un’opinione personale in proposito, un indirizzo di pensiero che possa farci temere il peggio o sperare in una risalita. E a suon di risposte e considerazioni piuttosto vaghe, si ha l’impressione per tutta l’intervista di sentire ripetere il già detto, il già noto, senza nulla di più. Da spettatrice e da cittadina, mi sarei aspettata domande più dirette e pungenti e una maggior insistenza sui temi dell’equità, del futuro dello stato sociale, di possibili modelli di sviluppo economico, dell’opportunità di ridurre ulteriormente i costi dell’apparato politico, dell’urgenza di investire in determinati settori per limitare i disagi e le iniquità e arginare così il rischio di tensioni sociali ecc.

Ma veniamo alle riserve sul vero protagonista della puntata. Certo, il nuovo primo ministro è apprezzabile già soltanto per il fatto di aver accettato un’intervista in uno dei programmi più seguiti dal grande pubblico, mettendosi in gioco ed esponendosi, in un certo senso, al giudizio dei cittadini-spettatori. Tutto questo ci appare ancora più lodevole, se confrontato col rifiuto del capo-banda del precedente governucolo a partecipare a contraddittori televisivi o a sottoporsi a interviste le cui domande non fossero preventivamente concordate, tanto meglio se poste da uno dei suoi tanti cortigiani leccapiedi. Insomma, esclusi quei ridicoli videomessaggi alla Bin Laden che uscivano di tanto in tanto sui nostri schermi per rassicurare i poveri elettori, il palazzinaro di Arcore non ha mai sentito il dovere di confrontarsi seriamente con l’opinione pubblica (si pensi anche alla sua scarsa presenza nello stesso Parlamento). Senza dubbio fa una certa impressione, dopo anni di cattivo gusto, ruffianerie da quattro soldi e gestacci tristemente memorabili, sentire parlare un uomo di potere che sia anche sobrio (divenuto ormai un epiteto), pacato e rispettoso nel modo di esprimersi, perfino competente in ciò di cui parla (!). Apprezzabile anche la tenuta a freno dell’anglolalia galoppante che caratterizza gran parte dei discorsi dei tecnocrati, o dei politici che oggigiorno vogliono ammantarsi di padronanza nel settore. Colpisce anche la schiettezza di Monti, che avverte fin da subito di non poter dare, alla maggior parte delle domande, che risposte evasive, al contrario dei professionisti della politica degenerata, prodighi di risposte e promesse compiacenti per ogni occasione. Il professore, però, rischia di suonare simile a quegli stessi politici quando eccede in senso opposto, e cioè con una generale evasività che sembra voler trovare nel suo annuncio la giustificazione a ripetersi in più occasioni, lasciando opaca buona parte dei programmi e delle idee per il futuro prossimo. Un’altra cosa che suscita in me un’impressione favorevole, è la disponibilità di Monti a dedicare il giusto tempo a spiegare, anche negli aspetti più tecnici, determinati meccanismi del mondo della finanza e dell’economia, senza l’antipatica presunzione che un discorso serio e privo di intercalari buffoneschi o di accessi passionari di seduzione ideologica non sia abbastanza coinvolgente per il pubblico-eterno fanciullino, ritenuto troppo spesso incapace di seguire una discussione impegnativa e di farsi autonomamente un’opinione.

Tuttavia, nonostante queste impressioni generalmente positive, ci sono punti dell’intervista di domenica sera che non mi convincono. In particolare, sono due le affermazioni che hanno incontrato la mia perplessità e che vorrei discutere qui per chiudere questo mio personalissimo e parziale commento. La prima riguarda la ricchezza. Dopo aver parlato della visita a sorpresa della Guardia di Finanza a Cortina, ribadendo giustamente la fermezza del nuovo governo nella lotta all’evasione fiscale, Monti ha parlato di una valorizzazione del concetto di ricchezza, contro il sospetto di una sua demonizzazione e persecuzione. Giustissimo: ad essere condannata non deve essere la ricchezza in sé (sebbene qualche ripensamento sulla distribuzione della stessa nella società odierna e sui conflitti di interessi vada fatta), ma la disonestà nella produzione, gestione e dichiarazione di tale ricchezza. Condivisibile anche in seguito, quando si auspica una ricchezza che sia il risultato “di un merito, di uno sforzo produttivo, di un talento” e non una rendita che si regga sulle “spalle degli altri”, dei più deboli. A preoccuparmi, però, è la promozione della ricchezza a valore in sé che “nella vita italiana, deve penetrare di più, come capita nelle società anglosassoni”, in cui i ricchi restituiscono alla collettività parte delle propria fortuna non soltanto pagando i contributi, ma anche attraverso “iniziative filantropiche e culturali”; la ricchezza come motivo di orgoglio anche per gli italiani, dunque, come è costume nelle società dominate da un’etica calvinista, in cui il lavoro e il mercato vengono vissuti con vocazione quasi religiosa in nome del profitto e il benessere economico diventa lo scopo principale di una vita e il segno di una predestinazione alla salvezza, da cui chi non gode degli stessi successi dovrebbe essere escluso, dis-graziato, in quanto fallito (a proposito di questo, si veda tra gli altri  L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber). Ma non è proprio a causa di questa mentalità spinta agli estremi che ci troviamo a dover pagare una crisi finanziaria globale, provocata dalle banche e da tutti quei potenti, magari predestinati alla salvezza, che hanno officiato troppo al culto di  Dio denaro?  Il giudizio di valore di una persona non può basarsi sul suo successo economico, così come quest’ultimo non può costituire il fine supremo dell’esistenza, condizionandone scelte e idee. Inoltre, se è vero che un po’ di sana competizione può favorire la meritocrazia e migliorare la qualità del lavoro, farne una divinità protettrice della concorrenza più sfrenata renderebbe la vita nella società democratica una gara continua, fatta di vittorie, magari, ma anche di frustrazione e di amarezza, oltre a nasconderci sotto il velo dell’ambizione fine a se stessa aspetti assai più interessanti e gratificanti, anche se meno tangibili, dell’esistenza. E se un’ambizione trascendentale può rendere la vita un inferno agli assetati di potere, nemmeno la gente comune, in un sistema così concepito, se la passerebbero tanto meglio, anzi. Guardiamo agli U.S.A. e alla qualità della vita dei cittadini comuni, che non siano alti dirigenti, miliardari, banchieri, petrolieri e compagnia bella: ci sembra davvero una situazione tanto invidiabile? Certo, con poveracci che vivono in quartieri ad altissimo tasso di criminalità, in cui chi non può permettersi scuole e sanità privata è destinato allo squallore di un servizio pubblico carente, capisco anche che i ricchi più sensibili (i predestinatissimi?) si sentano in dovere di investire in opere di carità, tanto per garantirsi ancora qualche centimetro quadrato in più in Paradiso e dire: “è vero, noi 1% del mondo deteniamo il 99% della ricchezza, ma ne devolviamo il 50% per voi, poveri pezzenti, affinché possiate assaggiare un po’ di civiltà”. Il pericolo di tale visione, secondo me, sta proprio nel fatto che questa forma di carità (che può essere anche sinceramente filantropica e portata avanti con le più oneste intenzioni, ma che non deve giustificare l’accumulo di ricchezze e di potere nelle mani dei membri di un élite) potrebbe un giorno sostituirsi al servizio pubblico e occupare gli spazi che via via le amministrazioni pubbliche, rinunciando allo stato sociale, lasceranno scoperti. Tale situazione, a mio avviso, esporrebbe al rischio concreto di nuovi rapporti clientelari, all’accentramento del potere nelle mani di alcune famiglie capaci di ingraziarsi l’opinione pubblica (un investimento sicuro per il futuro), alla cortigianeria e a forme più o meno evidenti di ricatto, in quanto ciò che dovrebbe essere un diritto diventerebbe una concessione, un dono, la cui fruizione dipende dalla buona volontà di qualcun altro che dispone di mezzi su cui noi non possiamo contare. Credo che in ogni paese e in ogni cultura ci siano usi, costumi e regole validi da cui trarre spunto, ma l’idea di appiattirci sul modello anglosassone per quanto riguarda il rapporto fra quantità del profitto e qualità della vita mi inquieta non poco. In fondo, prima di lasciarsi travolgere dal turbine dell’accumulo, converrebbe chiedersi se viviamo per lavorare (e per ammonticchiare tanto profitto da rimanerne sepolti) o se lavoriamo (e guadagniamo) per vivere. Mi si conceda un’ultima osservazione in merito: la ricchezza meritata col proprio sudore e col proprio talento, sostenuta e incoraggiata da Monti, non è in contraddizione con quella accumulata dai gruppi finanziari che speculano su tutto e tutti, dimostrando un attaccamento patologico al profitto e causando danni che non saranno loro a pagare ma il 99% dei poveri dis-graziati?

Il secondo punto su cui voglio soffermarmi riguarda l’indulgenza, a mio avviso scandalosa, con cui il primo ministro si è espresso nei confronti della classe politica nostrana. Non mi sarei aspettata, l’altra sera, di sentire Monti prendere le difese dei nostri politici, per i quali ha detto di provare pena (a meno che non fosse ironico, ma di un’ironia tanto sottile da risultare impercettibile) a causa del “momento difficile” che stanno passando e di come siano stati “trattati male dall’opinione pubblica”. E proprio all’opinione pubblica, Monti indirizza l’invito a riflettere sulle proprie responsabilità, prima di attaccare la classe politica. Certo, l’autocritica è salutare e necessaria da tutte le parti, cittadini compresi, ma come poter anche solo pensare di dire, dopo tutte le offese, i crimini, le menzogne, le ruberie, la totale mancanza di serietà tollerate negli ultimi anni, di avere compassione per questi soggetti? Com’è possibile che loro, ancora attaccati alle proprie poltrone, si ritrovino ad essere le vittime e noi i carnefici? Forse, però, Monti non ha tutti i torti. L’opinione pubblica dovrebbe davvero riflettere sulle sue colpe prima di attaccare politici e soci. Già, a cominciare dalla colpa di aver tollerato troppo a lungo che il nostro Parlamento fosse declassato a studio legale privato per sfornare leggi ad personam a beneficio di quello stesso personaggio che ha negato la crisi per anni, portandoci allegramente sull’orlo del collasso e coprendosi, e coprendoci nostro malgrado, di ridicolo sulla scena nazionale e internazionale. E poi la colpa di non essere mai riusciti ad articolare il dissenso e la stanchezza in un’azione coerente, intelligente e comune, disperdendo invece idee ed energie al vento (si è affrontato l’argomento anche su queste pagine). Soprattutto, la colpa di aver creduto alle menzogne, di aver dato ripetutamente fiducia a chi non sa nemmeno che cosa significhi fare politica e lavorare per il bene comune. La colpa, in fondo, di chiudere gli occhi e di restare sempre in attesa di un predestinato, di un unto, di un eroe che scenda da chissà quale pianeta nel fangoso campo della politica per sistemare tutti i nostri problemi e renderci più felici. Uno, insomma, che ci pensa lui e che a noi ci lascia in pace. E magari con la grazia di avere tanti soldi in saccoccia!

ma bohème
(il Bacino di Decantazione)

Rappresentazione della donna: lo stereotipo è meglio nudo o vestito?

11 domenica Dic 2011

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Annozero, Che tempo che fa, classe dirigente, donna, donne, esempi, In onda, insulti, La7, palinsesto, politica, pubblicità, Rai, rappresentazione, ruolo, servizio pubblico, sessismo, società, stereotipi, televisione, tg, tv

L’argomento è di quelli annosi ed è stato ed è trattato altrove con molta più compiutezza di quanto si intende fare qui. Mi riferisco all’immagine della donna come traspare oggi da due osservatorî privilegiati e piuttosto frequentati: la classe dirigente e la televisione (non toccherò il cinema, ma pare che il modello vincente, specie tra i giovanissimi, sia quello della derelitta pendente dalle labbra del maschio di turno: che poi quel ragazzone ben piantato del principe azzurro sia stato sostituito da ragazzetti emaciati con paresi maxillo-facciali, ahinoi!, vuol dire poco e, anzi, squarcia il velo su un altro grande tema, la demascolinizzazione). In particolare, ci si chiede spesso se la donna in televisione e nei ruoli pubblici, anche quando le è consentito di indossare un abito che non sia una svilente divisa atta a mettere in evidenza i tagli di carne più pregiati, non sia comunque prigioniera di stereotipi e preconcetti duri a morire e se, dunque, al mercimonio e all’esibizione di un’idea ferina dell’essere umano femmina esibiti, smaccati e rivendicati, non si affianchi un più latente e serpeggiante atteggiamento di cui la donna è oggetto più o meno inconsapevole o soggetto attivo ed entusiasta; la donna appare spesso legata a ruoli predeterminati mascherati dietro un’estetica e una fenomenologia tutte incentrate sul dogma dell’essere al passo coi tempi e di mentalità aperta ed è soprattutto la sua fisicità a determinarne la rappresentazione anche quando così non sembra ed è il suo corpo ad essere pubblicamente e continuamente vivisezionato, attraente sacco di muco, sangue, umori e bile. In questo articolo – giocato tra il serio e il faceto – non si mira a svolgere una trattazione esaustiva del tema (ripeto, ciò è fatto più e meglio altrove, in blog, organizzazioni, libri etc.), ma soltanto a proporre un elenco di immagini e situazioni (non me ne vogliano i personaggi citati, spunti per riflessioni altre, generali) che hanno attratto la mia attenzione e su cui vorrei attirare la vostra. Pronti, partenza, via!

La classe non è acqua: donne e classe dirigente

Prescindo dalla rutilante corte dei miracoli in rosa che turbina(va?) intorno al Matusalemme in fregola che ha presieduto il nostro governo fino a poco tempo fa, per soffermarmi su Nostra Signora della Confindustria, Emma Marcegaglia. Immaginate ora un uomo a capo di un’associazione importante che si prepara a salire su un palco e a parlare durante una riunione: cosa fa? Arriva, stringe qualche mano, al massimo dà e riceve un po’ di pacche sulla spalla e si reca sicuro a fare la sua parte. Pensate ora all’ingresso tipico di Marcegaglia (mi scuso, ma non ho reperito video e foto; basterà la visione di qualche servizio dei telegiornali a proposito di Confindustria per capire di cosa parlo): ella appare essere una tipa gioviale, molto, forse troppo nelle occasioni ufficiali, con tutti quei sorrisini e quei saluti a suon di baciotti sulla guancia, non adatti al suo ruolo e talvolta esagerati pure per una buona padrona di casa. Il succo è: perché non ci aspettiamo che un uomo faccia altrettanto? Perché saremmo straniti se – che so io? – un Montezemolo salutasse i presenti schioccando baci? Con una donna, invece, si dà quasi per scontato che le cose vadano così: i colleghi uomini la saluto naturalmente con baci e sorrisini e vezzeggiamenti cordiali, lei ricambia naturalmente tale atteggiamento e si presta ad incarnare il volto ingentilito (?!) di Confindustria. In molti si riferiscono a lei chiamandola soltanto Emma (che è? Un cane?) e taluni energumeni la invitano con leggerezza a prendersi una camomilla e ne storpiano il cognome in Marciagaglia (si veda qui, ad esempio; tale atteggiamento riservato alla femmina che deve tornare a cuccia sarà ripreso più avanti a proposito della televisione). E si è beccata pure della velina, qualifica spacciata per complimentosa e scorreggiata direttamente dal palco dell’Assemblea di Confindustria dall’incontinente ex primo ministro (Dio ce ne scampi e liberi!). Questa eccessiva familiarità, questo venire meno dell’ufficialità si accompagna – sarà una coincidenza? – a uno dei periodi più bui della Confindustria e la presidentessa paga la sua sovrabbondante cortesia con un vuoto di potere e con la perdita di incisività di sue proposte e interventi.
Va meglio a Susanna Camusso, che mostra di avere un po’ più di consapevolezza del proprio ruolo.
Umiliante è, poi, il discorso delle quote rosa, che pongono le donne alla stregua di bestiole indifese da tutelare indipendentemente dalle reali capacità e che offrono una bandiera comoda da sventolare per rimediare voti e consensi: una donna occupa un posto perché è brava, non per quota predeterminata, altrimenti si finisce per fare largo alle Carfagne (tanto per citarne una…non me ne voglia!) tanto per fare numero. Diciamo che se le donne dell’attuale governo, su cui le aspettative sono di per sé alte, contribuiranno a scrivere una pagina di autentica parità nella classe dirigente del paese, ci sarà da levarsi tanto di cappello. Incrociamo le dita. 😕

Televisione

Io di televisione ne guardo poca (non è né un vanto né una professione di colpa, ma una constatazione) e pochi canali: perciò prenderò in esame alcune realtà che conosco, sperando che voi mi informiate su quanto non conosco!

Donna Pubblicità (sulle note di Donna Felicità :))

Certo, le donne non sono più paciose e mansuete casalinghe in stato catatonico davanti al dado da brodo e non sono soltanto semplici giunoniche giovenche in déshabillé; il fatto è che le donne saranno pure diventate super, un esercito di femmine, meglio se mamme (perché la donna al 100% si esplica ancora in famiglia), con il corpo 90-60-90 fasciato da corazze abbatti-microbi, ma tocca ancora quasi esclusivamente a loro lavare, stirare, cucinare, esser portate a cena fuori, essere riaccompagnate, combinare in modi sempre nuovi la mozzarella. Tutto questo quando non sono preda di ingestibili pruriti intimi o sono momentaneamente libere da dolori mestruali degni dell’emorroissa (quella immortalata da Matteo nel suo Vangelo, 9, 20-22) e da perdite di urina tanto maleodoranti da stendere un alce a chilometri di distanza (ma un uomo a cui puzza e prude che prodotto deve comprare? Possibile che nessuna pubblicità venga in suo aiuto?!) o quando non sono impegnate a farsi diventare le rughe elastiche come le mutande di Fantozzi e il pancino piatto a suon di lassativi in barattolo all’ultimo grido. Nulla di male in sé nella gran parte (…!) delle attività succitate, ma possibile che debbano essere così sessuate anche quando sono travestite da novità dell’oltrespazio?

A Che tempo che fa Filippa che sta a fa’?

Natale. Il babbo guarda di sottecchi il nonno con aria complice e promettente, poi si volge verso la bambina e dice: «Filippa, recita al nonno, che quest’anno è andato in pensione e ha iniziato a coltivare la mentuccia, la poesia che gli hai dedicato!»; «Sììì – risponde ella sorridendo – ecco il nonno: da quest’anno pensionato, la mentuccia ha coltivato».
Se la scena vi è familiare, allora avete sicuramente visto una puntata di Che tempo che fa. Soltanto che, in televisione, la bambina è Filippa Lagerback, quasi quarantenne, svedese ma perfettamente parlante italiano, di certo all’altezza di ricoprire un ruolo meno umiliante (e ispirante simpatia, tra l’altro), e il babbo è l’aureo mediocre Fabio Fazio, principe dell’adulazione (magistrale il suo smascheramento ad opera di Nanni Moretti: potete rivederlo in questo video intorno al minuto 12:00) che ama definirsi “illuminista” e che pare credersi un distillato di moderno buon senso, rispetto e buone maniere. E, tuttavia, neanche Che tempo che fa sfugge alla logica della valletta minus habens: una presenza femminile in studio ci va, ma – per carità! – non facciamole fare niente, fedeli alla tradizione della bella statuina telecomandata da un conduttore che potrebbe benissimo fare a meno di tale apostrofo rosa (sarebbe più onesto e dignitoso per tutti, ma meno accattivante). Dalla prima edizione della trasmissione c’è un’avvenente signorina che, seduta su un trespolo, declama informazioni non necessarie (sono cose che ha già detto Fazio e che la poverina rimastica come meglio può) con sorrisi a favore di telecamera. Come se non bastasse, la natura accessoria delle parole proferite dalla fatina in questione è sottolineata dal tappeto di applausi che finisce per travolgerle nelle sue volute nonostante la disgraziata cerchi di distorcere quanto più può la bocca – sempre sorridendo, beninteso – alla ricerca di una seppur minima intelligibilità. A peggiorare la situazione ci si mettono i commenti di Fazio sul siparietto femminile: «Dai, dillo bene!» alla poverina, quella sera un po’ impallata, o «È brava, eh?! Ha visto/sentito?» ai comprimari più o meno coatti del paternalistico quadretto.
Lagerbeck si prende la scena e fa la parte del leone nello spazio in cui, come abbiamo visto, la donna trionfa, ossia  lo spazio pubblicitario (inoltre, per il rarefatto Fazio pecunia olet, a giudicare dalle sue goffe, borghesuccie capriole a proposito del prezzo del libro di Erri de Luca, come si vede in questo video intorno al minuto 04:00): qui ella si deve muovere tra arredamenti da fuori tutto IKEA e proporre acquisti per lo più improponibili o, nel migliore dei casi, invitare a fare della beneficienza (prendendosi in sovrappiù i vaffanculo da casa di coloro che la crisi ha reso troppo permalosi).
In un’intervista del 2007, alla domanda su quale fosse il suo ruolo all’interno della trasmissione, Filippa rispondeva: «Essenzialmente penso dare un tocco di femminilità alla trasmissione, soprattutto nell’introdurre gli ospiti. Per ora sono contenta di questa “palestra”, dalla quale spero di poter imparare molto, e in futuro, magari, condurre un programma mio». Ahilei e ahinoi, le cose non sono cambiate!
Non va meglio, in generale, alle ospiti femminili del programma, spesso oggetto dei salamelecchi puramente e doverosamente galanti del padrone di casa, che si professa già innamorato e che rimane incantato nove volte su dieci dalla bellezza dell’intervenuta, convinto che sia l’unico comportamento possibile riservabile e, quindi, riservato a una donna, specie se giovane e del mondo dello spettacolo (si veda – un esempio fra tanti – il caso di Elisabetta Canalis: qualcuno – assai fantasioso, ne convengo – le urla «Brava!» e il nostro Fazio non si scompone e commenta «E lo so, è bella!»: lo trovate all’inizio di questo video. E non ditemi che per fare il mea culpa di tanta arretratezza basti farsene dire di tutti i colori da Luciana Littizzetto la domenica sera!

La7- -: due o tre cosucce antipatiche sul rapporto della settima rete con le donne

  • TG La7 o “Calano le tenebre, largo a Superman!”

Arrivò Enrico Mentana e nulla fu più come prima.
È parere di molti che le donne siano state e siano tenute lontane da certi ambienti sfruttando un’atavica divisione oraria maschio/femmina: in breve, la femmina di sera ha meno libertà di uscire perché deve badare ai bimbi e perché non è sicuro. Un ragionamento di questo tipo riflette una mentalità dura a morire che pare riprodursi nell’impostazione del telegiornale firmato Mentana. Il TG di La7 era una torta variegata di volti (i più assai professionali) maschili e femminili senza orari. Nel TG del magister opinionis Mentana le donne (professioniste quanto prima) non si capisce perché (…!) non sono più degne dello scranno serale, ma confinate al TG dell’ora di pranzo, rassicuranti fatine che spariscono nei loro rifugi al calare del sole, e gli altri uomini sono stati drasticamente concentrati in spazi di contorno: al ricciolo galletto piace starnazzare solo nel pollaio. Si fa eccezione nel fine settimana, quando, salvo notizie straordinarie che richiedano l’intervento dilagante dell’uomo solo al comando, il guerriero si riposa e compare Gaia Tortora (non la più brava delle giornaliste a disposizione del TG di La7, ma non sia mai che non si rimpianga il padre-padrone di casa); d’altra parte, sabato e domenica sono ammesse per le donne le cene fuori, magari – senti, senti! – sole e con le amiche! Il logorroico direttore dimostra grande considerazione per  collaboratori e colleghi in genere, ma per limitarmi all’argomento del mio articolo (come avrete certamente intuito, sul direttore c’è tanto materiale da ispirare un altro scritto), mi limito a ricordare come talvolta si rivolga alle inviate (ed è già un miracolo che riescano a prendere la parola) con il piglio e la malagrazia del borghesuccio alla donna di servizio. Due esempi tra i molti che mi hanno colpito (purtroppo non ho trovato i video, ma nella memoria sono ancora ben impressi): Mentana prima invita la povera giornalista inviata all’ultima festa della Lega a Pontida (un evento talmente cruciale per i destini del Paese che il Nostro lo ha seguito praticamente in diretta, pronto a interpretare ogni rutto e scorreggia padani con i suoi valenti ospiti) a fare delle domande alla base insoddisfatta, poi, non contento (ma guarda po’) delle risposte di alcuni avvinazzati vichinghi in là con gli anni, rimprovera l’inviata chiedendo a gran voce interviste ai vertici della Lega; a Alessandra Sardoni, invece, è toccato starsene letteralmente parcheggiata sotto Palazzo Chigi (o era Grazioli? Mannaggia al venir meno dell’ufficialità!) durante un consiglio dell’ex-governo per riportare al direttore ogni movimento sospetto e ogni frase biascicata od origliata, e il Frost coi riccioli (ogni epoca ha i Frost e i Nixon che merita…!), quando si è stancato di questo giochino, ha optato per brevi domandine all’inviata, che ha esortato a rispondere con dei sì o con dei no, anche solo con cenni della testa (non metto l’espressione tra virgolette, non avendo trovato il video dell’episodio, ma la citazione è quasi letterale) …pretese che non si vedono neppure a Stelle a quattro zampe!

  • Rivoluzione a In onda: niente più figa

Luisella Costamagna, secondo chi scrive, a In onda non si è dimostrata una giornalista all’altezza del ruolo e del compito cui era chiamata: era petulante, interrompeva, non permetteva di sviluppare ragionamenti, faceva domande poco ragionate, per nulla ficcanti, tese per lo più a rimestare nell’antipatia, nella scaramuccia, nel bisticcio; ma è stata ingiustamente e maldestramente allontanata dalla trasmissione, di cui era anche coautrice. Eppure il programma ruotava intorno a lei, ma in un modo che più triste non si può (e ormai conosciamo): si cominciava dai saluti, con Luca Telese che doveva appioppare aggettivi infelici alla collega per ricordare ai telespettatori sonnacchiosi che a In onda è pieno di figa; si proseguiva con Costamagna che nove volte su dieci illustrava l’argomento della serata e gli ospiti, focalizzando per un po’ su di sé l’occhio avido delle telecamera, che poi amava indugiare sulle più succulenti porzioni della giornalista, con inquadrature comprensive del sotto del tavolo al limite del buon gusto che hanno fatto storia su You Tube (vedasi qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui…e crepi l’avarizia!) e non solo. La gragnola di interruzioni che la giornalista sparava su chi parlava faceva sì che il telespettatore in cerca del brivido felino non dovesse mai aspettare troppo tempo prima di riavere la telecamera puntata su di lei. L’andazzo sembrava collaudato per la gioia di grandi e piccini, ma poi un bel giorno si decide di cambiare e, come nella più becera delle aziende di provincia, a perdere il posto è la donna, accompagnata alla porta senza tanti complimenti, ma con strascico di polemiche (un assaggio qui e qui).
In onda prima versione (non so quasi nulla della seconda data la mia refrattarietà ai porri…) era un programma pieno di difetti visibili anche ad occhi profani e i due conduttori spesso non sapevano condurre, facendo sì o che la puntata sfociasse in una baraonda 🙂 senza capo né coda o che un ospite col polso un po’ più fermo prendesse il timone della trasmissione: possibile che l’unica soluzione che la rete ha sentito il bisogno di attuare è stato il siluramento di Costamagna, dopo averne sfruttato per tanto tempo l’immagine e visto che – ripeto – la medesima figurava tra gli autori del programma?!

  • Palinsesto o palinsesso?

In generale, guardando le scelte di palinsesto di La7, Costamagna può dirsi in buona compagnia (il che è tutt’altro che una consolazione) visto che, in maniera meno lampante e rumorosa della sua, sono altre le donne accompagnate alla porta nell’era Mentana (divisione di comodo, non è che si creda che la longa manus del direttore sia sempre coinvolta :)), spesso sostituite da maschietti. Qualche esempio: Corrado Formigli l’Apostata ha fatto piazza pulita dell’Exit di Ilaria D’Amico; è scomparso Victor Victoria condotto da Victoria Cabello. Daria Bignardi per questa stagione non è pervenuta. Tra i nuovi arrivi si segnala il programma di Gianluigi Nuzzi. Resta l’inossidabile Lilli Gruber, anche se sempre meno smagliante (la sua prima edizione in solitudine farebbe mangiare la polvere all’attuale Otto e mezzo). Già, Lilli Gruber: quanto sembravano moderne lei e le sue colleghe agli inizi, le prime donne nei TG Rai della prima serata, se paragonate all’intristente panorama della televisione attuale (ometto di parlare della maggioranza delle telegiornaliste Rai, specie 1 e 2, e di Merdaset per non mettermi a piangere… :cry:).
«Ma su La7 è arrivata Benedetta Parodi!» mi si obbietterà. Certo, per un manipolo di giornaliste e di conduttrici che se ne va, ecco che arriva l’ennesima portatrice sana di stereotipi che ci fa entrare nella sua cucina (ma non abbiamo ancora fatto indigestione?!). E riecco la donna che cucina, per di più  nell’attualissima versione incapace tuttofare con prodotti congelati/surgelati e già pronti, alfiera di uno dei pochi modi di essere donna ammesso dalla televisione che si sintetizza nell’autoritratto che traccia Emory nel delizioso Festa per il compleanno del caro amico Harold (qui al minuto 04:28; ma, almeno, Emory le lasagne le sapeva preparare! :twisted:). Ora basta con La7, passiamo ad altro.

Inutilmente Giulia

Alla logica della valletta adottata da Che tempo che fa si allinea, pur con sue peculiarità, la gestione dell’elemento femminile (indispensabile!) ad Annozero e nella sua nuova incarnazione, Servizio Pubblico, programmi che hanno mille pregi (non per niente Servizio Pubblico è consigliato nel nostro elenco a sinistra :lol:) e un conduttore con la c maiuscola, ma che sul tema specifico oggetto della mia osservazione non segnano alcun passo avanti. Giulia fu Margherita fu Beatrice fu… sono puri simboli: alla loro presenza, prova ontologica di una presenza femminile, meglio se giovane, all’interno del democratico programma, non si accompagna spesso nessuna reale attività degna di nota e, in ogni caso, le attività in questione non richiederebbero la loro presenza e non ricavano un plusvalore dal fatto che siano loro a svolgerle. Certo, la squadra di Annozero e Servizio Pubblico non si accontenta della semplice valletta e sceglie figure con una qualche particolarità che rinfocolino il dibattito già alto intorno a tali programmi: la giovane con un passato e un presente politici ondivaghi, la carabiniera-schermitrice che si da alla televisione, la rampolla divisa tra la passerella e l’interesse per la politica e il giornalismo. Ma siamo sicuri che ci sia bisogno di queste statuine per presentare gli ospiti non illustri incazzati a vario titolo (mi si passi la definizione volutamente generica per quella che considero la compagine più interessante ospitata nel programma)? Si credeva che Giulia Innocenzi  (fu Margherita fu Beatrice fu… sarà…?) avrebbe trovato un ruolo più consono alla propria dignità all’interno di Servizio Pubblico, ma l’aspettativa si è spenta alla prima puntata: questa volta gli incazzati per lo più si autopresentano o sono introdotti da Santoro e Innocenzi si occupa di coordinare la realizzazione di sondaggi bulgari (nostalgia dell’editto? :twisted:) condotti in maniera umiliante per tutti su Facebook: Santoro è un volpone (lo intendo come un complimento!) e sa sfruttare i mezzi di volta in volta più in voga ed era, quindi, prevedibile che si sarebbe interessato all’attivismo del mi piace, ma il risultato è deprimente oltre ogni aspettativa (se ne parla qui).

A cuccia!

Come promesso, torno a parlare di un atteggiamento diffuso, ossia della leggerezza con cui si mette a cuccia una donna che non si accontenta di indossare la stretta divisa imposta al suo ruolo nella dimensione pubblica, ma si impone come essere umano pensante a 360°: si passa dal parlare sopra alla donna in questione con fare paternalistico e correttivo per arrivare all’insulto spregevole. Esempi particolarmente antipatici di tale atteggiamento sono rappresentati dai modi con cui è stata zittita in più occasioni Concita De Gregorio (qualche esempio: ancora qui, poi qui, qui,  dove divide la razione con Rosy Bindi, e qui), dal celebre gnocca senza testa indirizzato a Rula Jebreal o a Beatrice Borromeo da una voce misteriosa ad Annozero e dalle cosiddette signore appioppato in blocco alle ospiti dell’Infedele di Gad Lerner da un vecchio signore allupato intento a difendere la nave scuola della sua scuderia e già autore del famigerato più bella che intelligente, coniato per omaggiare Rosy Bindi a Porta a Porta; fermiamoci qui, per carità!

Sale sulle ferite

A proposito di programmi che non guardo, penso che sia utile per completezza citare quest’interessante articolo (a partire dal quesito iniziale, non dissimile da quanto si discute qui) sulla divisione dei compiti in alcuni programmi televisivi: Jane fa intrattenimento, Tarzan informazione. Naturalmente, ribadisco che aspetto anche i vostri esempi, le vostre segnalazioni e, soprattutto, le vostre riflessioni.

Una boccata d’aria fresca

Un esempio positivo in questa valle di lacrime? Io mi sento di proporre Rai News 24, modello di coesione felice e altamente professionale tra età, etnie, sessi: le mille diversità che caratterizzano la squadra di Rai News 24 rappresentano evidentemente una ricchezza per l’informazione di prima qualità offerta dalla rete. E voi che ne dite? Quali sono i vostri esempi positivi sull’argomento? Su, su, consolatemi!

A voi la parola!

 

— AGGIORNAMENTO DEL 27 DICEMBRE 2011 —

Visto che questo articolo nasce dall’osservazione di alcuni fenomeni, mi pare utile considerarlo un lavoro in corso e aggiornarlo con noterelle di quando in quando (sperando anche che qualcuno di voi mi dia una mano!), ogni volta che salta all’occhio qualcosa di notevole sull’argomento o che si modifichino le situazioni che ho descritto. Ebbene, quest’ultimo caso sta dietro il presente aggiornamento e riguarda il capitolo La7 (si veda sopra).

Chi ha guardato La7 in questi giorni avrà notato alcune cosucce (no, non parliamo delle dimissioni carpiate con doppio, maldestro avvitamento e rientro di Enrico Mentana, che vanno ad ingrassare un’ipotetica fenomenologia del direttore 😈, ma di novità che riguardano l’argomento del nostro articolo). La pubblicità ci informa che da gennaio torneranno le Invasioni Barbariche di Bignardi (da me citata tra le disperse), ma soprattutto che Michela Rocco di Torrepadula coniugata Mentana, già dall’estate 2011 su La7d, sbarcherà su La7 in compagnia di Gianfranco Vissani (e rieccoti il tandem di conduttori lui-lei!) con Ti ci porto io (le battute qui vengono facili…) 😮 ! Mi si conceda di adoperare un po’ di cattiveria, di malpensiero e di non considerare del tutto innocente quest’ultima novità: sarà che all’Italia del “largo ai giovani” continuano a piacere le dinastie, le parentele, gli incroci, le raccomandazioni, le scorciatoie, le trote e i pierfigli, ma un po’ di puzza di bruciato, di provini mancati, di mortificazione della meritocrazia, di scelte guidate si sente :roll:…si vedrà, meglio non farsi prendere la mano da condanne preventive. E poi forse si tratta soltanto di un prendi 2 paghi 1! :mrgreen:
Non mi soffermo sull’arrivo di Dandini & co., che si inserisce nel discorso più complesso dell’esodo di professionisti da una Rai sempre più autolesionista ad una La7 che non può non vedere di buon occhio questo movimento migratorio destinato a non fermarsi tanto presto.
Questo è tutto. Per ora. 😎

 Vox clamantis in deserto
(il Bacino di Decantazione)

Rottamatori da rottamare insieme alla vecchia politica dei privilegi

12 sabato Nov 2011

Posted by ilbacinodidecantazione in Attualità, Media e informazione, Politica

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Tag

civati, crozza, giovani, italialand, marzullo, nepotismo, pd, politica, rottamatori, trota

Più che un nuovo articolo, un commento fuori programma strappatomi dall’intervista semiseria dell’acuto e gustoso Crozza-Marzullo a Giuseppe Civati nell’ultima puntata di Italialand (11/11/11).

Interpellato sul collega di giunta regionale Renzo Bossi, meglio noto come “il trota” (potete ri-vederlo in questo video, al minuto 12:53),  la giovane promessa del PD, sfoggiando diplomatico buonismo da democristiano e ingenuità da pivellino, risponde «è molto giovane, si farà», sottolineando quel «è giovanissimo» come se fosse un valore in sé a giustificare la totale mancanza di competenza e di gavetta con la quale il Trota, privilegiato figlio di papà, è arrivato per discendenza diretta a occupare un posto che, in una presunta democrazia, andrebbe sudato e guadagnato, facendosi (per citare Civati) negli anni di esperienza a partire dai circoli locali, dalle circoscrizioni, dall’attivismo giovanile, non quando si ha già una redditizia carica di consigliere regionale (ricordiamolo, nella stessa giunta in cui si sta facendo anche Nicole Minetti)! E invece ecco un bello schiaffo in faccia alla meritocrazia e alla stessa democrazia, e tutto questo mentre i giovanissimi che non hanno papà sul trono o santi in paradiso trovano ostacoli sempre più duri anche soltanto per trovare un lavoro degnamente retribuito. E a chi dovrebbero guardare questi ultimi per vedere tutelati i propri diritti contro le avide trote e i loro genitori squali? Alla nuova “sinistra”? Ai giovani rottamatori che strisciano da Firenze fino ad Arcore come un lacchè qualsiasi della senile maggioranza o una cosiddetta escort? A quelli che, col sorriso sulle labbra, non si rendono nemmeno più conto dello schifo a cui siamo arrivati e in cui sono immersi, che ci strapazzano con nuovi slogan accattivanti circondandosi di dirigenti aziendali, calciatori e intellettuali alla moda?

Sarà anche stata un’intervista comica da prendere alla leggera (come tutto il resto, ormai!), ma non cogliere nemmeno un’espressione, una battuta di contrarietà o un accenno di passione in un giovane politico (per di più filorottamatore) rafforza la mia diffidenza nei confronti della sedicente opposizione. Possibile che non ce ne sia uno che si arrabbi, che abbia il coraggio di rischiare, di non starci, di non accettare più questi compromessi e di indignarsi (veramente)? Non basta essere giovani sulla carta d’identità, bisognerebbe prima di tutto esserlo nelle idee e nello spirito!

ma bohème
(il Bacino di Decantazione)

Servizio pubblico

27 martedì Set 2011

Posted by ilbacinodidecantazione in Media e informazione

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Tag

costituzione, democrazia, Gherardo Colombo, Rai, servizio pubblico

Ecco un raro pezzo di servizio pubblico offerto da quel che rimane di Mamma Rai. Ecco un intervento pervaso da quello spirito che dovrebbe animare la divulgazione pubblica, specialmente in una materia tanto delicata e che riguarda tutti noi da vicino come la democrazia.

Gherardo Colombo a “Che tempo che fa” (Rai3), 24/09/2011:

 

il Bacino di Decantazione


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